Psicomotricità clinica e riabilitazione neuropsicologica
Le basi teorico-pratiche del Neuropsicomotricista sono sviluppate per fasce di età diverse (evolutiva, adulta, anziana) sia in riferimento alle caratteristiche dell’utenza (normodotata e/o con disabilità, ritardi e carenze dello sviluppo). Lo psicomotricista attraverso tecniche derivate dalla Psicomotricità clinica Funzionale e Relazionale e della riabilitazione neuropsicologica, aiuta una vasta gamma di utenti, e sviluppa modalità di intervento sempre più personalizzate.
Numerose sono le attività dello Psicologo-Psicomotricista Clinico e della Riabilitazione Neuropsicologica (PCRN), le principali aree di intervento includono:
• Area Riabilitativa: Lo Psicomotricista Clinico e della Riabilitazione Neuropsicologica si occupa di attività di abilitazione e riabilitazione, anche di tipo cognitivo-funzionale, mirate alla reintegrazione e al recupero di abilità e competenze che hanno subito una modifica, un deterioramento o una perdita. Questi interventi sono effettuati attraverso un’integrazione di tecniche di psicomotricità funzionale, relazionale e di neuropsicologica. Gli interventi comprendono la riabilitazione e la rieducazione funzionale di soggetti con disabilità motorie, disturbi cognitivi, disturbi dell’apprendimento (DSA), deficit neuropsicologici causati da malattie degenerative, disturbi psicologici e psichiatrici, o dipendenze da sostanze.
• Area di Sostegno: Interventi di sostegno psicomotorio per aiutare i pazienti a gestire le sfide legate ai cambiamenti di vita e alle difficoltà emotive e cognitive. Il sostegno effettuato dal PCRP si avvale di tecniche di psicomotricità relazionale, funzionale e interventi di counseling psicologico, per fornire un supporto completo e personalizzato.
Questa area prevede attività di supporto che possono anche seguire gli interventi riabilitativi, con l’obiettivo di rinforzare e mantenere i risultati ottenuti.
• Area Psico-Socio-Educativa: In assenza di patologie, lo Psicologo-Psicomotricista Clinico e della Riabilitazione Neuropsicologica promuove un armonico sviluppo psicomotorio e l’integrazione delle aree motoria, cognitiva e affettiva. Questo intervento è cruciale nei contesti educativi e di sviluppo, favorendo il benessere globale delle persone e prevenendo eventuali difficoltà future. Le attività in questa area utilizzano tecniche di psicomotricità relazionale e funzionale, integrate a interventi psicologici, per supportare lo sviluppo sano e armonico dell’individuo.
Il ruolo dello Psicologo-Psicomotricista Clinico e della Riabilitazione Neuropsicologica è quindi poliedrico e fondamentale per affrontare una vasta gamma di esigenze, supportando individui di tutte le età nel raggiungimento del loro massimo potenziale cognitivo, emotivo e motorio. Grazie alla sua formazione multidisciplinare, questo professionista è in grado di intervenire in modo integrato e personalizzato, migliorando il benessere complessivo delle persone con cui lavora.
Leggi tuttoLa Psicoterapia Cognitivo Evoluzionista
Il modello relazionale nel cognitivismo clinico come, da tempo accade anche nella psicoanalisi, considera la mente, la personalità e quindi la psicoterapia come realtà fortemente influenzate dai processi interattivi.
Sembrano quindi oramai molto lontane le affermazioni di Mahoney quando criticava la terapia cognitiva standard e sottolineava la visione ristretta della relazione terapeutica che “… poneva con eccessiva enfasi gi aspetti normativi e pedagogici rischiando così di oscurare la complessità degli eventi relazionali che avvengono in psicoterapia e così anche il ruolo del processo terapeutico….” (Semerari 2000).
Anche il modello cognitivo ha cioè visto evolvere la sua pratica clinica che, prima fortemente influenzata dall’idea che la mente potesse essere descritta in termini di pensieri disfunzionali o irrazionali ora, al contrario, è anche indagata come entità risultante da processi interattivi ed interpersonali.
La prospettiva cognitivo-evoluzionista permette di avvicinare e comprendere numerosi problemi legati alla sofferenza emotiva della persona e alla sua cura con l’idea centrale di un fallimento della regolazione delle emozioni.
Due presupposti la guidano:
- l’idea evoluzionista che l’uomo ha diverse disposizioni innate alla relazione, da cui emergono diversi sistemi motivazionali interpersonali su base innata…
- idea di base del cognitivismo (che rimane): l’attività mentale è primariamente rivolto alla costruzione e all’organizzazione della conoscenza.
In questa ottica, l’obiettivo principale della psicoterapia è restituire alla persona la capacità di riconoscere il valore ed il senso della propria e altrui esperienza emozionale…in tutti quei contesti relazionali in cui la coscienza di sé prende forma ed emerge… (Liotti G.)
Le diverse condizioni patologiche, depressione, ansia, disturbi del comportamento alimentare, le fobie, derivano in fondo dal mancato riconoscimento, nell’esercizio di questa funzione primaria di autoconoscenza, delle proprie emozioni e di quelle dell’altro…
Questa prospettiva fornisce alla psicoterapia un carattere fortemente interpersonale e la lega profondamente all’epistemologia evoluzionista, al progresso delle neuroscienze , ai dati sperimentali e cinici della teoria dell’ attaccamento e della psicologia evolutiva.
In questo modo, questo indirizzo della psicoterapia cognitiva entra a pieno titolo tra quegli approcci psicoterapeutici più moderni organizzati intorno ad un paradigma relazionale, che condividono quindi la natura relazionale della mente e del suo sviluppo…e il ruolo sovraordinato della relazione nel trattamento… e grazie al felice incontro con la teoria dell’attaccamento consente scambi fruttuosi e contaminazione di principi teorici e tecnici con altri orientamenti psicoterapeutici…
Leggi tutto
SCHEMA THERAPY
In campo psicologico si tende a definire Schema Therapy un qualsiasi principio organizzativo tramite cui una persona può interpretare le esperienze vissute.
Come già anticipato, secondo Young (1990, 1999), alcuni schemi – soprattutto quelli che si formano nell’infanzia in seguito alle esperienze negative – potrebbero essere all’origine dei disturbi di personalità o di altre patologie croniche. A tal proposito Young parla di Schema Maladattivo Precoce (SMP), di cui possiamo delineare le caratteristiche principali:
- è un concetto o modello omnicomprensivo;
- è formato da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche;
- è utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri;
- è sviluppato nell’infanzia o nell’adolescenza;
- è presente in tutte le fasi della vita;
- è poco funzionale.
Uno Schema Maladattivo Precoce non va confuso con il comportamento disfunzionale: secondo Young i comportamenti maladattivi sono risposte allo schema, sono da questo innescati ma non sono la stessa cosa.
Gli Schemi Maladattivi Precoci sono resistenti al cambiamento: essi sono ben conosciuti dal soggetto e, pur essendo fonte di sofferenza, risultano sicuri e familiari.
Young (2002) individua in particolare 18 Schemi Maladattivi Precoci, raggruppabili in macrocategorie: Distacco e Rifiuto (Abbandono/Instabilità, Sfiducia/Abuso, Deprivazione emotiva, Inadeguatezza/Vergogna, Esclusione sociale); Mancanza di Autonomia e di Abilità (Dipendenza, Vulnerabilità, Invischiamento, Fallimento), Mancanza di Regole (Grandiosità, Insufficiente Autocontrollo); Orientamento all’altro (Sottomissione, Autosacrificio, Ricerca di approvazione); Ipercontrollo e Inibizione (Negatività, Inibizione emotiva, Standard severi/Ipercriticismo, Punitività)
I bisogni: ovvero come si sviluppano gli schemi
Esistono alcuni bisogni fondamentali per l’essere umano: il bisogno di protezione, stabilità, cura e accettazione; il bisogno di autonomia, senso di competenza e d’identità; il bisogno di esprimere le emozioni fondamentali; il bisogno di spontaneità e gioco; il bisogno di limiti e controllo.
Come specificato a inizio articolo, gli SMP, secondo Young, derivano dalla frustrazione, durante l’infanzia, di almeno uno di questi bisogni. Esistono quattro tipi di esperienze che facilitano la nascita di SMP durante l’infanzia:
- Frustrazione dei bisogni primari
- Trauma o maltrattamento
- Troppe attenzoni e/o eccessive aspettative
- Interiorizzazione dell’altro significativo
I processi degli schemi
Gli schemi possono dar vita a due processi: il mantenimento e la correzione.
Tutte le azioni (volontarie o involontarie) che attivano lo schema costituiscono il processo di mantenimento. Gli schemi si mantengono attraverso tre principali meccanismi: le distorsioni cognitive (che generano un’interpretazione errata della situazione, volta a confermare lo SMP), gli stili di vita autodistruttivi (scegliendo situazioni o relazioni che convalidano lo SMP) e gli stili di coping (modalità che consentono di evitare le emozioni intense e violente che gli SMP generalmente procurano, gli stili di coping maladattivi mantengono lo schema e non vanno con esso confusi: lo schema contiene i ricordi, le emozioni, le sensazioni somatiche e i pensieri dell’individuo, ma non le sue risposte comportamentali. Il comportamento non fa parte dello schema, ma dello stile di coping).
I mode
Affermare che un individuo presenta un determinato schema non implica ritenere che esso sia attivo in ogni momento della sua vita; lo schema è un tratto caratteristico che può essere attivo in un determinato momento ma non in un altro (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
E’ in questa cornice che si introduce il concetto di mode, forse l’aspetto più complesso del modello di Young. I mode comprendono sia le emozioni che le risposte di coping (adattive o meno) di cui tutti gli individui, prima o poi, fanno esperienza. In una determinata situazione può essere elicitato un mode che in altri contesti, invece, non si palesa, rimane inattivo o latente. Un mode è dunque un insieme di schemi e relative operazioni (adattive o maladattive) attivo in un paziente in un determinato momento. Per questo motivo la Schema Therapy prevede una costante analisi sia dei mode adattivi che di quelli maladattivi; e uno degli obiettivi del percorso terapeutico è aiutare il paziente a passare da un mode disfunzionale ad uno più funzionale.
Ma quando un mode è disfunzionale? Quando determinati schemi o risposte di coping emergono sotto forma di emozioni negative per l’individuo, evitamento o comportamenti autodistruttivi.
Tutte le persone infatti sviluppano diversi mode che prendono il sopravvento in particolari situazioni (es: una persona, se criticata, può entrare in modalità contrattacco furioso oppure sottomissione incondizionata). Nelle persone senza disturbi psicologici i vari mode sono integrati sotto un cappello unitario (l’identità personale) e soprattutto volontariamente regolati nella loro espressione. Secondo Young e colleghi, i pazienti con disturbi di personalità, in particolare chi soffre di Disturbo Borderline di Personalità, presentano una tendenza a passare da un mode all’altro in modo rapido, improvviso e senza rendersene conto. Sono completamente fusi dentro la prospettiva del mode attivo nel momento presente. In un momento sono vittime, un momento più tardi furiosi persecutori, più tardi ancora possono trasformarsi in salvatori. Manca l’integrazione di questi aspetti, la capacità di prendere le distanze dal mode che li domina, la capacità di gestirne l’espressione.
Nella Schema Therapy si contano dieci mode ascrivibili a quattro categorie (durante le sedute, si sceglie col paziente il nome da dare ai singoli mode):
- i mode Bambino (innati e universali). Essi sono quattro: Bambino vulnerabile, Bambino arrabbiato, Bambino impulsivo/indisciplinato e Bambino felice.
- i mode Coping disfunzionale. Sono tre: il Protettore distaccato, l’Ipercompensatore, e l’Arreso compiacente. Questi tre mode corrispondono a tre stili di coping: evitamento, ipercompensazione e resa.
- i mode Genitore disfunzionale. Sono due: il genitore punitivo e il genitore esigente. Quando si trova in uno di questi mode, il paziente acquisisce l’atteggiamento del genitore che ha interiorizzato.
- il mode Adulto funzionale.
Nel corso della terapia si cerca di aiutare il paziente non solo a rinforzare il mode Adulto funzionale ma anche ad esplorare quelli disfunzionali, modificandoli o migliorando il loro funzionamento (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Schema therapy: tra obiettivi, assessment e modificazione degli SMP
L’intento della Schema Therapy è quello di rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento degli Schemi Maladattivi Precoci e di aiutarlo a trovare strategie di coping più efficaci per soddisfare i propri bisogni (ibidem).
L’obiettivo terapeutico ultimo è quindi trasformare uno schema maladattivo in uno schema più funzionale, operando una correzione. Non dimentichiamo che uno schema consiste in un insieme di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di pensieri, correggerlo vuol dire ridurre la pervasività dei ricordi ad esso associati, l’intensità delle emozioni e delle sensazioni somatiche che ne derivano e la quantità dei pensieri disfunzionali. Ma non solo: è necessario anche un cambiamento comportamentale. Questo tipo di cambiamento avviene attraverso l’apprendimento, da parte del paziente, di strategie adattive nuove e alternative agli stili di coping disfunzionali.
Alla luce di tutto questo, il trattamento prevede un intervento trasformativo sui livelli emotivo, cognitivo e comportamentale. In questo modo lo schema maladattivo si indebolisce e si attiva con intensità e frequenza via via minori.
Il trattamento secondo Schema Therapy si divide in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”.
Assessment e psicoeducazione
In questa prima fase, al terapeuta spetta il compito di aiutare il paziente nell’identificare gli schemi maladattivi, cercandone le origini. Così facendo il paziente impara a familiarizzare con il modello degli schemi, a riconoscere i propri stili di coping maladattivi e a capire in che modo essi contribuiscano al mantenimento degli schemi.
In questa fase ci si avvale di molteplici techiche: colloqui per analizare la storia di vita del paziente, somministrazione di questionari, compiti di automonitoraggio ed esercizi immaginativi che aiutano il paziente a collegare le esperienze vissute in infanzia agli attuali problemi.
Terminati questi passaggi, terapeuta e paziente elaborano una concettualizzazione del caso basata sugli schemi e programmano una terapia centrata su di essi, che includerà l’utilizzo di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali e si fonderà sulla relazione terapeutica (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Modificazione degli schemi
In questa fase il terapeuta utilizza con flessibilità le strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali previste, tenendo conto delle esigenze che il paziente manifesta di settimana in settimana, senza ricorrere a protocolli rigidi.
Le tecniche cognitive
Non si possono modificare gli schemi se il soggetto crede che essi abbiano una validità. Per questo motivo i pazienti, durante la terapia, devono mettere in discussione la validità dello schema. Inizialmente elencano, insieme al terapeuta, tutte le situazioni della vita che possono costituire una prova a favore della validità dello schema o una contraria ad essa. Quando, però, le prove non sono sufficienti a invalidare lo schema, si può ricorrere a delle strategie per modificare gli aspetti della vita del paziente che non risultano soddisfacenti (es. il terapeuta aiuta a contrastare la convinzione che il fallimento sia inevitabile, permettendo così, al paziente, di acquisire capacità concrete in ambito lavorativo). Al termine di questi esercizi, terapeuta e paziente creano un promemoria (flash card) su cui riportano le prove individuate a sfavore dello schema; il paziente dovrà portarlo con sé e leggerlo di frequente, soprattutto nelle situazioni che possono ri-attivare lo schema (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Le tecniche esperienziali
Le tecniche esperienziali servono ai pazienti per affrontare lo schema dal punto di vista emotivo. Con le procedure immaginative, ad esempio, i pazienti possono esprimere la rabbia o la tristezza che provano per ciò che hanno vissuto nell’infanzia. Così facendo possono confrontarsi col genitore (o con gli altri significativi dell’infanzia) e proteggere e confortare il bambino vulnerabile, riuscendo a esprimere quei bisogni che avevano da bambini ma che non sono stati soddisfatti. Attraverso le tecniche immaginative e i role-playing i pazienti si possono esercitare a dialogare con le persone significative della loro vita, controbattendole e interrompendo il circolo vizioso che lo schema crea a livello emotivo (ibidem).
La modifica dei comportamenti disfunzionali
Paziente e terapeuta si mettono d’accordo su alcuni esercizi comportamentali da svolgere al di fuori delle sedute per sostituire le strategie di coping maladattive con risposte nuove e più funzionali.
Vengono stabiliti, con l’aiuto del terapeuta, alcuni esercizi comportamentali che il paziente deve svolgere al di fuori delle sedute per imparare a sostituire le risposte di coping maladattive con pattern comportamentali nuovi e più funzionali. Il paziente impara a capire che importanti decisioni di vita, come ad esempio la scelta del partner, favoriscono il mantenimento dello schema e comincia, così, ad ipotizzare e sperimentare la possibilità di fare scelte più funzionali che si contrappongono ai vecchi modelli di vita autodistruttivi.
I compiti da svolgere potrebbero non essere sempre facili per il paziente, per questo durante le sedute, il terapeuta può prepararlo attraverso le procedure immaginative e i role-playing, aiutandolo ad attraversare eventuali ostacoli. Una volta concluso un compito, si analizzano insieme i risultati.
La relazione terapeutica
Gli schemi, gli stili di coping e i mode che il terapeuta deve valutare ed esaminare sono ben visibili anche nella sua relazione con il paziente. Attraverso la relazione terapeutica, infatti, il paziente interiorizza il terapeuta come un adulto funzionale che contrasta gli schemi maladattivi, aiutandolo a vivere in modo più soddisfacente.
Due aspetti della relazione terapeutica sono particolarmente degni di nota secondo la Schema Therapy: l’atteggiamento di confronto empatico del terapeuta e l’utilizzo del parziale reparenting. Attraverso l’empatia, il terapeuta si approccia agli schemi maladattivi che si palesano nella seduta, sottolineando come le reazioni di coping a questi siano distorte o disfunzionali. La funzione di reparenting invece prevede che il terapeuta, nei limiti del rapporto terapeutico, fornisca al paziente ciò di cui aveva bisogno ma che non ha ricevuto dai genitori durante l’infanzia. Si crea così una relazione di accudimento in cui il terapeuta funge da genitore buono che cerca di rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino paziente, prestando però attenzione al fatto che il terapeuta non acquisca potere nei confronti del paziente ma che validi e riconosca i suoi bisogni.
Con il Reparenting e attraverso gli esercizi immaginativi, si crea in seduta una specie di “macchina del tempo” che permette al paziente di ritornare ad essere quel bambino e rivivere le esperienze che hanno determinato la formazione degli schemi, questa volta in un contesto protetto e sicuro, vedendo finalmente soddisfatti i suoi bisogni, grazie all’intervento del terapeuta nella scena.
Leggi tuttoLa terapia EMDR
La terapia EMDR è utile per il trattamento di disturbi causati da eventi stressanti o traumatici come il disturbo da stress post-traumatico. Essa sfrutta i movimenti oculari alternati per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio, permettendo una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali.
EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica psicoterapeutica ideata da Francine Shapiro nel 1989. Questa metodologia, utile per il trattamento di disturbi causati da eventi stressanti o traumatici come il disturbo da stress post-traumatico, sfrutta i movimenti oculari alternati, o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio, permettendo così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali. I movimenti oculari saccadici e ritmici tipici della terapia EMDR, concomitanti con l’individuazione dell’immagine traumatica, delle convinzioni negative ad essa legate e del disagio emotivo, facilitano la rielaborazione dell’informazione, fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. In questo modo l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo non negativo.
Le tecniche EMDR, come la terapia cognitivo-comportamentale focalizzata sul trauma, seguono le teorie del processamento dell’informazione e si rivolgono alle memorie disturbanti individuali ed ai significati personali dell’evento traumatico e delle sue conseguenze, attivando la rete dei ricordi di paura attraverso la presentazione di informazioni che attivano elementi delle strutture della paura ed introducono informazioni correttive incompatibili con questi elementi.
L’esposizione immaginativa tipica della terapia cognitivo-comportamentale però guida l’individuo a rivivere ripetutamente l’esperienza traumatica il più vividamente possibile, senza prendere in causa altre memorie o associazioni; questo approccio è basato sulla teoria secondo cui l’ansia è causata dalla paura condizionata ed è rinforzata dall’evitamento.
Al contrario la terapia EMDR procede tramite catene di associazioni, collegate con stati che condividono gli elementi sensoriali, cognitivi o emotivi del trauma. Il metodo adottato non è di tipo direttivo; l’individuo è incoraggiato a ‘lasciare accadere qualsiasi cosa avvenga limitandosi a notarla‘ mentre le memorie liberamente associate entrano nella mente tramite l’esposizione immaginativa, in forma di brevi flash.
In accordo con le teorie del condizionamento classico, promuovere l’attenzione a informazioni correlate alla paura facilita l’attivazione, l’abituazione e la modificazione della struttura di paura.
Durante la terapia EMDR, i terapeuti spesso accedono solo a brevi dettagli della memoria traumatica, ed incoraggiano la distorsione o il distanziamento dell’immagine che, in accordo con le teorie tradizionali, dovrebbe esitare in un evitamento cognitivo. La terapia EMDR incoraggia tuttavia gli effetti distanzianti che sono considerati efficaci nel processamento della memoria piuttosto che nell’evitamento cognitivo. E’ forse per questo che i pazienti sottoposti a questo tipo di terapia cosiderano l’EMDR come meno confrontante e la tollerano meglio.
L’EMDR comprende il complesso delle risposte emotive che seguono un evento stressante analizzando stati affettivi, sensazioni fisiche, pensieri, emozioni e credenze contemporaneamente.
Il cambiamento cognitivo che la terapia EMDR evoca mostra che il soggetto può avere accesso a informazioni correttive e collegarle alla memoria traumatica e ad altre reti di memorie associate. Tutto ciò avviene con piccole, se non nulle, indicazioni da parte del terapeuta. L’integrazione del materiale positivo e negativo che avviene spontaneamente durante il processo di desensibilizzazione dell’EMDR somiglia all’assimilazione in strutture cognitive (in linea con la teoria del processamento adattivo dell’informazione), così come accade per le visioni del mondo, i valori, le credenze e l’autostima.
Leggi tutto