CFT – Compassion Focused Therapy
La Compassion Focused Therapy (CFT), in italiano “Terapia basata sulla Compassione”, è un approccio psicoterapeutico di recente diffusione che fa parte delle Psicoterapie Cognitivo Comportamentali mindfulness-based, ovvero della cosiddetta terza generazione della CBT.
La CFT è stata sviluppata dal Paul Gilbert (2005), da anni impegnato nella ricerca scientifica sul senso di colpa, sulla vergogna e sull’autocritica, da lui ritenuti elementi trans-diagnostici di molti disturbi psicologici. Attualmente, infatti, la CFT è utilizzata con successo per il Disturbo Post Traumatico da Stress, le psicosi, i disturbi dell’umore, i disturbi alimentari e il dolore cronico.
La Compassion Focused Therapy (CFT) offre una spiegazione della psicopatologia e del suo mantenimento basata sullo sbilanciamento di tre sistemi di regolazione emotiva presenti nel nostro cervello (sistema della minaccia, della ricerca di stimoli, e della connessione e sicurezza – safeness). Essa propone un processo di cambiamento (ribilanciamento dei sistemi emotivi) che avviene tramite l’attivazione e “l’allenamento-training” di un sistema motivazionale innato (la compassione) connesso al sistema dell’accudimento.
L’attivazione di questo sistema produce un cambiamento nel paziente che spesso non è possibile solo attraverso un intervento diretto sulle sue credenze disfunzionali. Come è noto, infatti, alcuni pazienti, particolarmente autocritici e auto-colpevolizzanti, non migliorano con la terapia cognitiva standard: pur comprendendo l’illogicità dei loro pensieri negativi disfunzionali (su di sé, sul mondo o sul futuro), continuano a sentirsi a disagio, a colpevolizzarsi, ad autoaccusarsi.
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La Psicoterapia Cognitivo Evoluzionista
Il modello relazionale nel cognitivismo clinico come, da tempo accade anche nella psicoanalisi, considera la mente, la personalità e quindi la psicoterapia come realtà fortemente influenzate dai processi interattivi.
Sembrano quindi oramai molto lontane le affermazioni di Mahoney quando criticava la terapia cognitiva standard e sottolineava la visione ristretta della relazione terapeutica che “… poneva con eccessiva enfasi gi aspetti normativi e pedagogici rischiando così di oscurare la complessità degli eventi relazionali che avvengono in psicoterapia e così anche il ruolo del processo terapeutico….” (Semerari 2000).
Anche il modello cognitivo ha cioè visto evolvere la sua pratica clinica che, prima fortemente influenzata dall’idea che la mente potesse essere descritta in termini di pensieri disfunzionali o irrazionali ora, al contrario, è anche indagata come entità risultante da processi interattivi ed interpersonali.
La prospettiva cognitivo-evoluzionista permette di avvicinare e comprendere numerosi problemi legati alla sofferenza emotiva della persona e alla sua cura con l’idea centrale di un fallimento della regolazione delle emozioni.
Due presupposti la guidano:
- l’idea evoluzionista che l’uomo ha diverse disposizioni innate alla relazione, da cui emergono diversi sistemi motivazionali interpersonali su base innata…
- idea di base del cognitivismo (che rimane): l’attività mentale è primariamente rivolto alla costruzione e all’organizzazione della conoscenza.
In questa ottica, l’obiettivo principale della psicoterapia è restituire alla persona la capacità di riconoscere il valore ed il senso della propria e altrui esperienza emozionale…in tutti quei contesti relazionali in cui la coscienza di sé prende forma ed emerge… (Liotti G.)
Le diverse condizioni patologiche, depressione, ansia, disturbi del comportamento alimentare, le fobie, derivano in fondo dal mancato riconoscimento, nell’esercizio di questa funzione primaria di autoconoscenza, delle proprie emozioni e di quelle dell’altro…
Questa prospettiva fornisce alla psicoterapia un carattere fortemente interpersonale e la lega profondamente all’epistemologia evoluzionista, al progresso delle neuroscienze , ai dati sperimentali e cinici della teoria dell’ attaccamento e della psicologia evolutiva.
In questo modo, questo indirizzo della psicoterapia cognitiva entra a pieno titolo tra quegli approcci psicoterapeutici più moderni organizzati intorno ad un paradigma relazionale, che condividono quindi la natura relazionale della mente e del suo sviluppo…e il ruolo sovraordinato della relazione nel trattamento… e grazie al felice incontro con la teoria dell’attaccamento consente scambi fruttuosi e contaminazione di principi teorici e tecnici con altri orientamenti psicoterapeutici…
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SCHEMA THERAPY
In campo psicologico si tende a definire Schema Therapy un qualsiasi principio organizzativo tramite cui una persona può interpretare le esperienze vissute.
Come già anticipato, secondo Young (1990, 1999), alcuni schemi – soprattutto quelli che si formano nell’infanzia in seguito alle esperienze negative – potrebbero essere all’origine dei disturbi di personalità o di altre patologie croniche. A tal proposito Young parla di Schema Maladattivo Precoce (SMP), di cui possiamo delineare le caratteristiche principali:
- è un concetto o modello omnicomprensivo;
- è formato da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche;
- è utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri;
- è sviluppato nell’infanzia o nell’adolescenza;
- è presente in tutte le fasi della vita;
- è poco funzionale.
Uno Schema Maladattivo Precoce non va confuso con il comportamento disfunzionale: secondo Young i comportamenti maladattivi sono risposte allo schema, sono da questo innescati ma non sono la stessa cosa.
Gli Schemi Maladattivi Precoci sono resistenti al cambiamento: essi sono ben conosciuti dal soggetto e, pur essendo fonte di sofferenza, risultano sicuri e familiari.
Young (2002) individua in particolare 18 Schemi Maladattivi Precoci, raggruppabili in macrocategorie: Distacco e Rifiuto (Abbandono/Instabilità, Sfiducia/Abuso, Deprivazione emotiva, Inadeguatezza/Vergogna, Esclusione sociale); Mancanza di Autonomia e di Abilità (Dipendenza, Vulnerabilità, Invischiamento, Fallimento), Mancanza di Regole (Grandiosità, Insufficiente Autocontrollo); Orientamento all’altro (Sottomissione, Autosacrificio, Ricerca di approvazione); Ipercontrollo e Inibizione (Negatività, Inibizione emotiva, Standard severi/Ipercriticismo, Punitività)
I bisogni: ovvero come si sviluppano gli schemi
Esistono alcuni bisogni fondamentali per l’essere umano: il bisogno di protezione, stabilità, cura e accettazione; il bisogno di autonomia, senso di competenza e d’identità; il bisogno di esprimere le emozioni fondamentali; il bisogno di spontaneità e gioco; il bisogno di limiti e controllo.
Come specificato a inizio articolo, gli SMP, secondo Young, derivano dalla frustrazione, durante l’infanzia, di almeno uno di questi bisogni. Esistono quattro tipi di esperienze che facilitano la nascita di SMP durante l’infanzia:
- Frustrazione dei bisogni primari
- Trauma o maltrattamento
- Troppe attenzoni e/o eccessive aspettative
- Interiorizzazione dell’altro significativo
I processi degli schemi
Gli schemi possono dar vita a due processi: il mantenimento e la correzione.
Tutte le azioni (volontarie o involontarie) che attivano lo schema costituiscono il processo di mantenimento. Gli schemi si mantengono attraverso tre principali meccanismi: le distorsioni cognitive (che generano un’interpretazione errata della situazione, volta a confermare lo SMP), gli stili di vita autodistruttivi (scegliendo situazioni o relazioni che convalidano lo SMP) e gli stili di coping (modalità che consentono di evitare le emozioni intense e violente che gli SMP generalmente procurano, gli stili di coping maladattivi mantengono lo schema e non vanno con esso confusi: lo schema contiene i ricordi, le emozioni, le sensazioni somatiche e i pensieri dell’individuo, ma non le sue risposte comportamentali. Il comportamento non fa parte dello schema, ma dello stile di coping).
I mode
Affermare che un individuo presenta un determinato schema non implica ritenere che esso sia attivo in ogni momento della sua vita; lo schema è un tratto caratteristico che può essere attivo in un determinato momento ma non in un altro (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
E’ in questa cornice che si introduce il concetto di mode, forse l’aspetto più complesso del modello di Young. I mode comprendono sia le emozioni che le risposte di coping (adattive o meno) di cui tutti gli individui, prima o poi, fanno esperienza. In una determinata situazione può essere elicitato un mode che in altri contesti, invece, non si palesa, rimane inattivo o latente. Un mode è dunque un insieme di schemi e relative operazioni (adattive o maladattive) attivo in un paziente in un determinato momento. Per questo motivo la Schema Therapy prevede una costante analisi sia dei mode adattivi che di quelli maladattivi; e uno degli obiettivi del percorso terapeutico è aiutare il paziente a passare da un mode disfunzionale ad uno più funzionale.
Ma quando un mode è disfunzionale? Quando determinati schemi o risposte di coping emergono sotto forma di emozioni negative per l’individuo, evitamento o comportamenti autodistruttivi.
Tutte le persone infatti sviluppano diversi mode che prendono il sopravvento in particolari situazioni (es: una persona, se criticata, può entrare in modalità contrattacco furioso oppure sottomissione incondizionata). Nelle persone senza disturbi psicologici i vari mode sono integrati sotto un cappello unitario (l’identità personale) e soprattutto volontariamente regolati nella loro espressione. Secondo Young e colleghi, i pazienti con disturbi di personalità, in particolare chi soffre di Disturbo Borderline di Personalità, presentano una tendenza a passare da un mode all’altro in modo rapido, improvviso e senza rendersene conto. Sono completamente fusi dentro la prospettiva del mode attivo nel momento presente. In un momento sono vittime, un momento più tardi furiosi persecutori, più tardi ancora possono trasformarsi in salvatori. Manca l’integrazione di questi aspetti, la capacità di prendere le distanze dal mode che li domina, la capacità di gestirne l’espressione.
Nella Schema Therapy si contano dieci mode ascrivibili a quattro categorie (durante le sedute, si sceglie col paziente il nome da dare ai singoli mode):
- i mode Bambino (innati e universali). Essi sono quattro: Bambino vulnerabile, Bambino arrabbiato, Bambino impulsivo/indisciplinato e Bambino felice.
- i mode Coping disfunzionale. Sono tre: il Protettore distaccato, l’Ipercompensatore, e l’Arreso compiacente. Questi tre mode corrispondono a tre stili di coping: evitamento, ipercompensazione e resa.
- i mode Genitore disfunzionale. Sono due: il genitore punitivo e il genitore esigente. Quando si trova in uno di questi mode, il paziente acquisisce l’atteggiamento del genitore che ha interiorizzato.
- il mode Adulto funzionale.
Nel corso della terapia si cerca di aiutare il paziente non solo a rinforzare il mode Adulto funzionale ma anche ad esplorare quelli disfunzionali, modificandoli o migliorando il loro funzionamento (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Schema therapy: tra obiettivi, assessment e modificazione degli SMP
L’intento della Schema Therapy è quello di rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento degli Schemi Maladattivi Precoci e di aiutarlo a trovare strategie di coping più efficaci per soddisfare i propri bisogni (ibidem).
L’obiettivo terapeutico ultimo è quindi trasformare uno schema maladattivo in uno schema più funzionale, operando una correzione. Non dimentichiamo che uno schema consiste in un insieme di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di pensieri, correggerlo vuol dire ridurre la pervasività dei ricordi ad esso associati, l’intensità delle emozioni e delle sensazioni somatiche che ne derivano e la quantità dei pensieri disfunzionali. Ma non solo: è necessario anche un cambiamento comportamentale. Questo tipo di cambiamento avviene attraverso l’apprendimento, da parte del paziente, di strategie adattive nuove e alternative agli stili di coping disfunzionali.
Alla luce di tutto questo, il trattamento prevede un intervento trasformativo sui livelli emotivo, cognitivo e comportamentale. In questo modo lo schema maladattivo si indebolisce e si attiva con intensità e frequenza via via minori.
Il trattamento secondo Schema Therapy si divide in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”.
Assessment e psicoeducazione
In questa prima fase, al terapeuta spetta il compito di aiutare il paziente nell’identificare gli schemi maladattivi, cercandone le origini. Così facendo il paziente impara a familiarizzare con il modello degli schemi, a riconoscere i propri stili di coping maladattivi e a capire in che modo essi contribuiscano al mantenimento degli schemi.
In questa fase ci si avvale di molteplici techiche: colloqui per analizare la storia di vita del paziente, somministrazione di questionari, compiti di automonitoraggio ed esercizi immaginativi che aiutano il paziente a collegare le esperienze vissute in infanzia agli attuali problemi.
Terminati questi passaggi, terapeuta e paziente elaborano una concettualizzazione del caso basata sugli schemi e programmano una terapia centrata su di essi, che includerà l’utilizzo di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali e si fonderà sulla relazione terapeutica (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Modificazione degli schemi
In questa fase il terapeuta utilizza con flessibilità le strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali previste, tenendo conto delle esigenze che il paziente manifesta di settimana in settimana, senza ricorrere a protocolli rigidi.
Le tecniche cognitive
Non si possono modificare gli schemi se il soggetto crede che essi abbiano una validità. Per questo motivo i pazienti, durante la terapia, devono mettere in discussione la validità dello schema. Inizialmente elencano, insieme al terapeuta, tutte le situazioni della vita che possono costituire una prova a favore della validità dello schema o una contraria ad essa. Quando, però, le prove non sono sufficienti a invalidare lo schema, si può ricorrere a delle strategie per modificare gli aspetti della vita del paziente che non risultano soddisfacenti (es. il terapeuta aiuta a contrastare la convinzione che il fallimento sia inevitabile, permettendo così, al paziente, di acquisire capacità concrete in ambito lavorativo). Al termine di questi esercizi, terapeuta e paziente creano un promemoria (flash card) su cui riportano le prove individuate a sfavore dello schema; il paziente dovrà portarlo con sé e leggerlo di frequente, soprattutto nelle situazioni che possono ri-attivare lo schema (Young, Klosko, Weishaar, 2007).
Le tecniche esperienziali
Le tecniche esperienziali servono ai pazienti per affrontare lo schema dal punto di vista emotivo. Con le procedure immaginative, ad esempio, i pazienti possono esprimere la rabbia o la tristezza che provano per ciò che hanno vissuto nell’infanzia. Così facendo possono confrontarsi col genitore (o con gli altri significativi dell’infanzia) e proteggere e confortare il bambino vulnerabile, riuscendo a esprimere quei bisogni che avevano da bambini ma che non sono stati soddisfatti. Attraverso le tecniche immaginative e i role-playing i pazienti si possono esercitare a dialogare con le persone significative della loro vita, controbattendole e interrompendo il circolo vizioso che lo schema crea a livello emotivo (ibidem).
La modifica dei comportamenti disfunzionali
Paziente e terapeuta si mettono d’accordo su alcuni esercizi comportamentali da svolgere al di fuori delle sedute per sostituire le strategie di coping maladattive con risposte nuove e più funzionali.
Vengono stabiliti, con l’aiuto del terapeuta, alcuni esercizi comportamentali che il paziente deve svolgere al di fuori delle sedute per imparare a sostituire le risposte di coping maladattive con pattern comportamentali nuovi e più funzionali. Il paziente impara a capire che importanti decisioni di vita, come ad esempio la scelta del partner, favoriscono il mantenimento dello schema e comincia, così, ad ipotizzare e sperimentare la possibilità di fare scelte più funzionali che si contrappongono ai vecchi modelli di vita autodistruttivi.
I compiti da svolgere potrebbero non essere sempre facili per il paziente, per questo durante le sedute, il terapeuta può prepararlo attraverso le procedure immaginative e i role-playing, aiutandolo ad attraversare eventuali ostacoli. Una volta concluso un compito, si analizzano insieme i risultati.
La relazione terapeutica
Gli schemi, gli stili di coping e i mode che il terapeuta deve valutare ed esaminare sono ben visibili anche nella sua relazione con il paziente. Attraverso la relazione terapeutica, infatti, il paziente interiorizza il terapeuta come un adulto funzionale che contrasta gli schemi maladattivi, aiutandolo a vivere in modo più soddisfacente.
Due aspetti della relazione terapeutica sono particolarmente degni di nota secondo la Schema Therapy: l’atteggiamento di confronto empatico del terapeuta e l’utilizzo del parziale reparenting. Attraverso l’empatia, il terapeuta si approccia agli schemi maladattivi che si palesano nella seduta, sottolineando come le reazioni di coping a questi siano distorte o disfunzionali. La funzione di reparenting invece prevede che il terapeuta, nei limiti del rapporto terapeutico, fornisca al paziente ciò di cui aveva bisogno ma che non ha ricevuto dai genitori durante l’infanzia. Si crea così una relazione di accudimento in cui il terapeuta funge da genitore buono che cerca di rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino paziente, prestando però attenzione al fatto che il terapeuta non acquisca potere nei confronti del paziente ma che validi e riconosca i suoi bisogni.
Con il Reparenting e attraverso gli esercizi immaginativi, si crea in seduta una specie di “macchina del tempo” che permette al paziente di ritornare ad essere quel bambino e rivivere le esperienze che hanno determinato la formazione degli schemi, questa volta in un contesto protetto e sicuro, vedendo finalmente soddisfatti i suoi bisogni, grazie all’intervento del terapeuta nella scena.
Leggi tuttoL’analisi Bioenergetica
L’analisi bioenergetica è una psicoterapia corporea ideata da Alexander Lowen, medico e psicoterapeuta statunitense, che nel 1956 fondò a New York l’International Institute for Bioenergetic Analysis, del quale sarà direttore per quarant’anni. Si tratta di una psicoterapia che si basa su un approccio psicoterapeutico analitico-caratteriale e somatico-relazionale utilizzato anche nella psicoterapia di gruppo.
Secondo l’analisi bioenergetica il carattere, inteso come unicità somato-psichica, rappresenta l’organizzazione psicologica e corporea inconscia dell’individuo, che si struttura a livello mentale con i meccanismi psicologici di difesa e a livello corporeo con contrazioni muscolari croniche che, insieme all’impronta genetica, danno forma alla postura e alla qualità della respirazione.
Le frustrazioni infantili continuative suscitano una risposta difensiva da parte dell’organismo con tensioni croniche dell’apparato muscolare, una funzione respiratoria ridotta e, più in generale, in una riduzione dell’espressività. È una risposta difensiva che mira ad allontanare il contatto con la frustrazione e il dolore, in presenza di un ambiente ostile all’imperativo biologico che tende al piacere. Il prezzo pagato è un processo di contrazione che si manifesta in una riduzione generale di motilità e vitalità. Attraverso l’osservazione di questi messaggi corporei è possibile integrare i contenuti verbali, arrivando a una comprensione più profonda delle dinamiche dell’individuo: nell’Analisi Bioenergetica l’attenta osservazione delle manifestazioni del corpo[20], e delle emozioni collegate, rappresenta uno strumento importante tanto quanto l’interpretazione dei sogni e del materiale verbale. Il corpo viene osservato non solo nella sua realtà statica, ma anche e soprattutto nel suo modo di muoversi, respirare, lasciar uscire la voce ed entrare in relazione.
In quest’ottica Lowen propone un insieme di esercizi propriocettivi ed espressivi. In Analisi Bioenergetica con il termine energia s’intende la vitalità di un organismo, prodotto dell’insieme di processi biochimici e metabolici che gli permettono di vivere e che si manifesta nel movimento e nei processi di espansione e contrazione tipici di ogni essere vivente. Pensiamo per esempio al battito del cuore o ai processi vitali dell’ameba, secondo questa analisi la quantità di energia mobilitata e il modo di utilizzarla può dire molto sulla personalità di un individuo e sul suo modo di relazionarsi con il mondo. Per esempio, una persona impulsiva esperirà aumenti improvvisi di eccitazione che sentirà il bisogno di scaricare immediatamente, mentre una persona depressa mostrerà un’attivazione ridotta.
L’aumento di energia è osservabile sia a livello corporeo, per esempio attraverso la mobilitazione delle masse muscolari o il flusso sanguigno, sia a livello psichico per esempio attraverso i meccanismi motivazionali e attentivi. Partendo dai principi teorici dell’analisi del carattere reichiana, Lowen ne espande i concetti definendo una tipologia caratteriale articolata, frutto del lavoro clinico con i suoi pazienti. Partendo dalla fase prenatale, l’individuo attraversa una serie di fasi evolutive ognuna caratterizzata da un bisogno fondamentale. La qualità della relazione con le figure primarie, in primo luogo con la madre, e il grado di soddisfazione di tali bisogni, determinano diverse organizzazioni difensive psico-corporee, con conseguente differenza di carica energetica e motilità. Lowen propone tipologie caratteriali connotate da diversa distribuzione di tensioni croniche e carica energetica. Quanto più l’individuo ha una struttura caratteriale nevrotica, tanto maggiore è la contrazione psico-corporea e quindi minore la gamma di risposte possibili agli stimoli vitali interni ed esterni.
Il carattere rimane comunque, nel pensiero di Lowen, espressione di una tensione alla vita, in quanto modalità unica e personale attraverso cui un individuo è stato capace di difendersi e protendersi verso il piacere. Se da una parte quindi l’Analisi Bioenergetica ha come obiettivo quello di rendere consapevole il paziente delle limitazioni imposte dalla propria struttura caratteriale, così da permettere il recupero di una maggiore vitalità, dall’altra ne riconosce l’unicità come espressione del suo vissuto somato-psichico, unico e irripetibili. Per Lowen l’obiettivo della terapia non è più solo il recupero di una sana e soddisfacente vita sessuale, come era invece per Reich ma diventa la riconquista di una più ampia capacità di provare piacere e sperimentare la gioia di vivere[25]. In quest’ottica il piacere viene identificato come possibilità di lasciar fluire l’eccitazione vitale e la capacità di padroneggiarla per interagire in maniera vantaggiosa con la realtà circostante. La salute vibrante di cui parla Lowen, si basa sulla capacità di respirare, aprirsi al movimento energetico interno ed esterno e alle sensazioni ed emozioni connesse. Essa consente, momento per momento, un aggiustamento tra il contatto con il proprio Sé (in senso sia corporeo che psicologico) e con il mondo.
È la sintonia dell’individuo con il proprio grounding, concetto che integra la percezione del proprio Sé psico-corporeo con la realtà sociale.
Fonte Wikipedia
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